Nella notte fra il 14 e il 15 gennaio del 1968, un terremoto distrusse decine di centri della Valle del Belice, tra i quali Gibellina. Il primo problema che si pose, innanzi a chi era corresponsabile della rinascita di questa città, fu quello di restituire la forza della speranza a gente che fuggiva per ogni parte del mondo temendo di non più tornare. Il Governo offriva le navi per andare in Australia o in Venezuela. Il Genio Civile aveva affidato alle ruspe il compito di distruggere tutto quel che il terremoto aveva lasciato in piedi. La sfida era resistere a Gibellina contro ogni speranza. E che cosa, se non l’arte, la cultura, la musica e la poesia potevano tessere le trame della rinascita? Non dimentichiamo che era il 1968, l’epoca delle grandi utopie. Una città non si ricostruisce con un disegno e una bacchetta magica, imponendo uno stile su un altro. Una città si ricostruisce negli anni, nei secoli. Sono passati meno di vent’anni dalla ricostruzione di Gibellina. Questo, per Gibellina, è solo l’inizio di un cammino. Cominciammo a scavare non più nelle sole macerie del passato, della memoria, ma nelle radici della nostra storia complessiva: non soltanto dunque in quella di Gibellina e del Belice, ma nella storia della Sicilia, del Mediterraneo.
Ludovico Corrao, Sindaco della ricostruzione
Introduzione al libro “I Maestri di Gibellina” di Davide Camarrone, 2011